Dalai Lama
09:10 Posted In PROBLEMATICHE ODIERNE Edit This 0 Comments »
"Mi vogliono uccidere"
Da una intervista fatta dal Sunday Telegraph al Dalai Lama, il leader spirituale dei Tibetani, il cui nome starebbe a significare “Oceano di Saggezza”, avrebbe detto che in Cina si sta tramando per ucciderlo. Queste le sue esatte parole: “Abbiamo ricevuto delle segnalazioni dal Tibet secondo le quali alcuni agenti cinesi stanno addestrando delle donne tibetane a usare veleni per uccidermi”.
Con quali modalità, gli è stato chiesto? Alcune donne dovrebbero avvicinarlo con la scusa di essere delle devote, farsi benedire e toccarlo con i capelli e con delle sciarpe avvelenati.
Attualmente il Dalai Lama, come si sa, è un personaggio molto stimato e noto in tutto il mondo (ricordiamo che nel 1989 ha ricevuto anche il premio Nobel per la Pace), non altrettanto si può dire in Cina, dove invece viene visto come nemico del governo.
Per questo egli, 76enne, è costretto a vivere dal 1959, anno delle rivolte dei tibetani contro il governo cinese, una vita blindata, sotto assidua protezione, in un tempio che è situato ai piedi dell’Himalaya, in India.
Certo, non si può non dare tutta la nostra solidarietà al Dalai Lama e ai Tibetani in genere, un povero popolo che da circa 50 anni sta lottando per vedere riconosciuta la sua indipendenza dall’occupazione cinese, un popolo costretto a subire umiliazioni, torture e persecuzioni. Per non parlare poi delle devastazioni ambientali e culturali operate sul territorio tibetano, un territorio all’origine del tutto incontaminato!
Il governo cinese ne ha distrutto il patrimonio artistico e architettonico, vi ha attuato la più indiscriminata deforestazione, vi ha posto basi militari nucleari con scarichi di rifiuti pericolosi.
Le donne sono costrette a subire una sterilizzazione senza essere sottoposte ad alcuna anestesia. Una crudeltà inverosimile! Molte di esse muoiono per complicanze infettive, altre, come il caso ultimo di una monaca, s’immolano per la libertà del Tibet, lasciandosi avvolgere dalle fiamme senza che da quel rogo umano si senta proferire una parola o alzarsi un grido di dolore.